Nelle ultime settimane l’attenzione di tanti media nazionali si è concentrata – giustamente – sul problema della fuga dei cervelli all’estero. Un vero dramma sociale che sta impoverendo l’Italia da alcuni decenni e che oramai emerge con la forza devastante dei numeri dalle statistiche e dalle ricerche pubblicate dai centri di ricerca più noti del Paese.

È evidente che siamo di fronte a un serio vulnus della società con ripercussioni incerte sulla nostra democrazia e i cui effetti – in termini culturali, economici e sociali – pagheremo cari nei prossimi anni se non proveremo a invertire la tendenza. L’Italia sta perdendo la propria classe dirigente, la schiena di uno Stato solido e il rischio di piegarsi è sempre più alto.

Eppure esiste un dato e un fenomeno sottovalutato e ugualmente allarmante. Diversi ricerche sulla fuga dei cervelli hanno sostanzialmente focalizzato la propria attenzione sui cosiddetti cervelli appunto, ovvero su coloro che godono di una elevata istruzione e formazione – i laureati – e che in cerca di opportunità lavorative o di studio adeguate alle loro capacità, competenze e ai tanti sacrifici compiuti decidono – molto spesso costretti – di cercarle all’estero.

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